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Sportello informativo sulle tematiche sociali relative alla disabilità.
Il servizio è gratuito ed è attivo ogni martedì e venerdì dalle 18:00-20:00.
L’emendamento proposto dal Governo prevedeva l’abrogazione dell’articolo 20 della Legge 53/2000. Quella disposizione modificava il testo originario dell’articolo 33 della Legge 104/1992 prevedendo che i permessi potessero essere concessi al lavoratore dipendente anche quando il coniuge non ne aveva diritto (perché lavoratore autonomo o perché disoccupato o perché casalinga).
Si tratta di una norma che accoglie un’istanza seria e motivata in particolare dalla considerazione che il carico assistenziale di un figlio non può essere completamente a carico del genitore non lavoratore.
L’emendamento proposto riportava la situazione a prima del 2000, anno di approvazione, a larghissima maggioranza, della Legge 53.
La modificazione proposta dal Governo era, nell’emendamento ritirato, piuttosto subdola. Dalla locuzione “tre giorni di permesso mensile” si passava a “un permesso pari a tre giorni”. La nuova definizione apriva la strada ad un contingentamento orario nella fruizione di tali permessi.
Altra modificazione proposta, apparentemente innocua, riguardava i requisiti sanitari per accedere ai permessi. Come è noto la fruizione è condizionata da uno specifico accertamento di handicap con connotazione di gravità (articolo 3, comma 3 della Legge 104/1992), verbale rilasciato dalle Commissioni operanti nelle Aziende Usl.
Nel testo proposto dal Governo non è più presente il riferimento a quello specifico verbale, ma alla “grave disabilità”, concetto comprensibile nel senso comune, ma non definito sotto il profilo medico legale e non dimostrabile automaticamente con alcun certificato. Anche questa nuova definizione apriva la strada a successive probabili evoluzioni in cui il certificato di handicap grave non sarebbe stato più sufficiente e, verosimilmente, sarebbe stata richiesta una ulteriore valutazione medico legale.
Esclusività e continuità dell’assistenza
I concetti di continuità ed esclusività di assistenza sono stati finora mal definiti dal Legislatore, ma rappresentano i due requisiti che consentono la fruizione dei permessi lavorativi anche in assenza di convivenza.
Nell’emendamento il Governo non reintroduce l’obbligo della convivenza, ma enfatizza il concetto di esclusività. Avendo abrogato – come già detto – l’articolo 20 della legge 53/2000, ne deriva che i permessi non sarebbero più stati concessi nel caso in cui il disabile convivesse con un altro familiare.
Inoltre il Ministero precisa che i permessi possono essere concessi solo nel caso di convivenza o di distanza massima dall’abitazione della persona disabile da assistere di 100 chilometri. Un’indicazione simile esiste già nella prassi adottata da INPS.
L’emendamento previsto dal Governo prevede la restrizione al coniuge, ai parenti ed agli affini entro il secondo grado della platea di soggetti che possono fruire dei permessi per assistere il portatore di handicap.
Ad oggi i permessi lavorativi previsti dalla Legge 104/1992 sono concessi ai parenti e affini fino al terzo grado oltre che al coniuge. Sono parenti di primo grado i figli e genitori. Fratelli e sorelle, nipoti (figli dei figli) e nonni sono parenti di secondo grado. Zii e nipoti (figli di un fratello o una sorella) sono parenti di terzo grado.
Controlli
Il Ministero si riserva esplicitamente la possibilità di controlli serrati sui requisiti alla concessione dei permessi lavorativi ai dipendenti pubblici. Le pubbliche amministrazioni sono tenute a raccogliere dati specifici, con deroghe anche alla normativa sulla privacy, sulla fruizione dei permessi lavorativi suddivisi per dipendente. Questi dati devono essere inviati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri che costituisce una specifica banca dati.
Anche questa parte dell’emendamento è stata ritirata.
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